contenuto a cura di
Francesco Rossi
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“Se Roma piange, Milano non ride”. Da Aristodemo, tragedia di Vincenzo Monti, alle tragedie quasi quotidiane cui sono sottoposti romani e milanesi. Quasi un incastro perfetto, che sa tanto di cubo di Rubik con la differenza che qui di magico c’è ben poco. La Capitale d’Italia e la città dell’economia, della moda, del Salone del mobile e del design non se la passano affatto bene dal punto di vista amministrativo. Entrambe a guida Partito Democratico da oltre 20 anni, con qualche piccola eccezione a Roma. Come nella “corsa più pazza del mondo”, Campidoglio e Palazzo Marino sembrano fare a gara a chi commette più sciocchezze, a chi fa più danni.

Gli enormi problemi della città Eterna sono endemici, scolpiti sulla pietra miliare quasi a voler santificare e rendere immortale Gaio Gracco, e come per uno strano scherzo del destino, proprio strade e viabilità rappresentano quel buco nero da cui sembra pressoché impossibile uscire con uno stralcio di progetto. Un’impasse ideativo figlio non solo della pochezza mentale di chi è incaricato a decidere, ma anche di un certo menefreghismo genialmente occultato sotto il manifesto “governare Roma è impossibile”, che si ripete ciclicamente come il Festival del qualunquismo. Un concetto astratto, diventato negli anni giurisprudenza per tutti gli avvocati del Diavolo che, come i Matador, erano convinti di prendere il toro per le corna prima di rimanere anch’essi infilzati dall’immobilismo perenne e di prammatica. Un temporeggiare che avrebbe inorridito e stancato perfino Fabio Massimo Quinto.

Temporeggiare, verbo invece sconosciuto all’ombra della Madunina. Milano è sempre stata una città avanti, in movimento, che non dormiva mai, il sogno italiano durante il boom economico. Il motore del Paese, l’approdo naturale per chi voleva spiccare voli pindarici con destinazione Europa. Una città che ha saputo unire antico e moderno, grattacieli e piano terra tutti insieme a comporre i pezzi di un puzzle perfettamente riuscito. Una città nel cui DNA è impresso lo statuto di protagonista, che si sviluppa e cresce quasi in maniera fisiologica. Anche per questo motivo è sempre stata un po’ fighetta, con la puzza sotto al naso. Abituata da sempre a guardare l’Italia dall’alto verso il basso. La Milano da bere, insomma.

Quasi surreale nel contesto italico, tanto da sembrare un dipinto di Salvador Dalì. Dal surrealismo, per quanto assurdo come personaggio, sembra arrivare anche l’attuale sindaco Giuseppe Sala, Beppe per gli amici, al suo secondo mandato. Invece è un baby boomer di 65 anni sputato e spuntato con sembianze di un millennial disegnato al computer, di quelli che hanno sostituito lo stampino con una stampante 3D. Un visionario senza visione, un egoico famelico pieno di sé, cui il dubbio non lo sfiora mai. Completamente fagocitato dalla globalizzazione selvaggia, senza limiti di velocità, senza ZTL, senza suddivisioni per aree. Il neoliberismo come massima espressione di una religione che non accetta dogmi e compromessi precostituiti da sacrificare sull’altare di un contraddittorio con reminiscenze da alto Medioevo.

Un futurista a due velocità: da un lato un monopattino su cui viaggiano i reali problemi dei milanesi, dall’altro un bolide da 500 cv con a bordo il turbocapitalismo con tutto il carico di fluidità pronto per essere sparso sulla tela della degenerazione a tinte green. Una ventata di aria fritta tra le pale del Moulin Rouge. Nulla di più. “Milano sempre più Milano”, con questo slogan, Sala, si è ripresentato ai cittadini per chiedere la fiducia per un secondo quinquennio sullo scranno più alto di Palazzo Marino. Fiducia che i pochi milanesi accorsi alle urne hanno concesso, ma si tratta di una vittoria zoppa a causa dell’assenza totale, oltre che di elettori, anche di avversari con il candidato del centrodestra assolutamente imbarazzante nella sua mediocrità, talmente scarso da non essersi, probabilmente, neanche votato da solo. Un perfetto sconosciuto di cui si son perse le tracce un minuto dopo lo scrutinio. A metà percorso del suo interregno-bis, sarà davvero “…sempre più Milano”? No. La tavola rotonda dei buoni propositi è rimasta vuota, senza pietanze e senza commensali. Nel menù della casa i milanesi si aspettavano di trovare le ricette sulla sicurezza, sulla viabilità, sul caro trasporti, un piano regolatore e stradale che non includesse solo piste ciclabili calate dall’alto ad minchiam come panacea di tutti i mali di una transizione sbagliata figlia di una deriva ambientalista ideologica, manipolata da chi ha interessi che travalicano anche pareri e studi di illustri illuminati del settore. Una deriva, quindi, anche culturale in cui spicca la figura di una ragazzina di 16 anni, senza titoli scolastici, issata a maestrina sull’Oracolo di Delfi sempre pronta a riempire le piazze di ecoballe.

Nonostante la cena sia a metà servizio il conto ai milanesi è già arrivato, ed è un conto sala…tissimo. Dopo otto anni di gestione dell’ex manager Milano è una città insicura dove il rischio di essere rapinati o molestati è sempre dietro l’angolo, senza alcuna distinzione fra centro e periferia. Non solo per i residenti, ma anche per i turisti. È notizia di pochi giorni fa il furto di un Camper (in pieno giorno ed in una zona non distante dal centro) ad una famiglia turca in viaggio per l’Europa. Viaggio che si è bruscamente interrotto a Milano. La stazione Centrale è diventata un centro di accoglienza clandestina in mano a sbandati e spacciatori lasciati liberi di delinquere senza che il sindaco dai calzini armocromatici faccia qualcosa per mettere l’area in sicurezza. Ma se c’è una cosa che al primo cittadino non gli si può contestare, è la “coerenza”: difatti degrado, delinquenza e bivacco li troviamo anche a due passi da casa sua in zona Porta Venezia. A qualsiasi ora del giorno e della notte. Ha invece pensato bene di riempire la città di telecamere e autovelox, ha imposto limiti di velocità assurdi che dal prossimo anno in alcune zone saranno di 30 k/h. Contestualmente ha creato l’area C, in cui per accedervi bisogna pagare qualcosa come 7 € al giorno, infischiandosene di negozianti e lavoratori, ignorando proteste e ragioni di chi frequenta quella parte della città solo per motivi lavorativi.

I parcheggi su strada, le famose strisce blu, hanno costi fuori portata. Finito? Anche no. Perché è in arrivo l’ennesimo aumento di biglietti e abbonamenti ATAC. Giusto per incoraggiare la comunità a lasciare l’auto e prendere i mezzi. Auto che Sala (con l’ennesimo colpo di genio) vorrebbe togliere ai milanesi, passando dalle attuali 49 ogni cento abitanti, a 40. Perché così ha deciso, senza interpellare nessuno.  Un progressismo con lo specchietto retrovisore, un altro ennesimo atto di protervia con la clava, figlio della più bieca ossessione, quasi maniacale, quasi morbosa, verso quel percorso verde diventato il chiodo fisso di un sindaco chiaramente in preda a raptus di decadentismo sociale. Sosteneva Hegel “Parti da una tesi, gli giri intorno con una antitesi, e quel che viene fuori è una sintesi arricchita”. Antitesi, ciò che manca a Giuseppe Sala, Beppe per gli amici.